mercoledì 26 marzo 2008

La Falsa Rivoluzione

Non sempre i compleanni sono momenti di festa condivisa. Lo dimostra quello del ’68 che, politicamente parlando produce ancora ricadute spaventose sui nostri costumi sociali e politici. Sarebbe sciocco scordare che fra le generazioni post conflitto, quella sessantottina fu la prima a crescere con tutti i benefit classici della società borghese: elettrodomestici, auto di proprietà, telefono e riscaldamento in casa. Appare curioso che le rivoluzioni (false) partano sempre da stabili sicurezze acquisite. Disse sprezzante di quella generazione Ionesco: diventerete notai. Dal contestare al rogitare. Il marxismo voleva liberare la classe oppressa dai padroni mentre il ’68 ha voluto solo liberare dei repressi dai loro padri, dalle loro tradizioni, dai loro valori etici e religiosi. Dice bene, per rappresentare quell’epoca, Marcello Veneziani: “Jan Palach fu l’unico sessantottino che scontò la protesta sulla propria pelle. Gli altri incendiarono il mondo pensando a se stessi, lui incendiò se stesso pensando al mondo. Lui affrontò i carri armati, gli altri la carriera.”
Diciamolo in modo netto e senza fraintendimenti: la crisi culturale della sinistra, per quanto paradossale possa apparire, proviene proprio dal ’68. Oggi, gli ex di allora, sono classe dirigente, stanca, senza più idee, senza più speranze, ma con l’arroganza di continuare a rimembrare i miti falsi della loro giovinezza. Guardi Veltroni e ti viene un conato pensando a come sia possibile presentarsi come “il nuovo” in uno scenario decrepito e politicamente in suppurazione.
I riformisti di sinistra sono coloro che sono stati sopraffatti dalla realtà.
Realtà che ha vinto contro le false ideologie. Le stesse che hanno reso la violenza strumento e momento “democratico”, da tollerare e giustificare. Le stesse che hanno distrutto la scuola, l’università, la cultura e l’identità nazionale. Oggi la sinistra, culturalmente, non produce più nulla di nuovo. Oscilla fra Nanni Moretti e Jovanotti. Che bei tempi quelli in cui Togliatti polemizzava con Vittorini. Oggi, al massimo, Veltroni può essere in disaccordo con i comici di Zelig.
Culturalmente la sinistra è ferma. Non produce nulla di nuovo. Oppure si rivolge “al glorioso passato” con no global e disubbidienti o cerca, in modo divertente, di appropriarsi di termini quali liberale o di inneggiare alla meritocrazia, quando, da sempre la colonna vertebrale del pensiero progressista è l’egualitarismo.
Il centrodestra, dalla sua, si sta sviluppando e radicando. Nascono fondazioni, “think tank”, (pensate a Ideazione, Farefuturo, Liberal, Il Domenicale) nuovi giornali. Ci sono battaglie d’avanguardia come quella meritoria di Giuliano Ferrara attraverso Il Foglio, che mette in evidenza l’incosistenza della sinistra di proporre nuove soluzioni su un tema delicato come l’aborto, come se in trent’anni gli scenari sociali e culturali del nostro paese fossero immutati e immutabili.
Posizioni reazionarie sono quelle dei comunisti italiani che si sono schierati contro l’idea di avere Israele paese ospite alla Fiera del Libro di Torino. Sono queste le posizioni progressiste e riformiste? Da ciò si evince che il ’68 ha distrutto l’idea di merito, di autorità, ha innalzato un falso mito della libertà intesa come insensata possibilità di scegliere, sottraendosi alle responsabilità che provengono da ogni scelta. E ora, come ha fatto Sarkozy, è tempo di archiviare questo mito.
Dalla “nuova” sinistra ci aspettiamo questo passaggio. Anche noi, allora, potremmo davvero augurare buon compleanno ad una falsa rivoluzione che fortunatamente non ci ha visto complici, ma solo tristi spettatori.