giovedì 22 maggio 2008

Dal benessere alla paura. La genesi del terrorismo

Nel 1989 Sergio Zavoli, grande giornalista, già Presidente della Rai e successivamente senatore del centro sinistra, presenta un programma dal titolo “La notte della repubblica”.
E’ uno spaccato arguto e critico degli anni ’70. Quelli che furono tristemente chiamati gli “anni di piombo”.
A molti anni di distanza è giusto chiedersi cosa sia rimasto, di quel periodo, nelle coscienze degli italiani e cosa sia giusto trasferire alle nuove generazioni in termini di esperienze sociali e culturali.
Alla fine del secondo conflitto bellico, l’Italia, è un paese distrutto e affamato da una dittatura entrata nell’epidermide del paese, con un’economia bloccata e arretrata e una forte disuguaglianza sociale e culturale fra nord e sud. Un Paese, però, vivo, capace di reagire agli orrori della guerra e compiere una vera e propria svolta in poco più di due lustri. L’Italia del “boom economico” diventa fatto compiuto. Oggettivo. Al culmine di questo stato di benessere, incombe l’ombra cupa del ’68. Nessuno è in grado chi capirne il peso, la portata politica e quanto il futuro di una intera generazione ne resterà influenzato. Irrimediabilmente. Le rivendicazioni sindacali e i “cambiamenti” voluti dal mondo accademico travolgono una classe dirigente troppo attenta agli interessi individuali per pensare di poter risolvere quelli collettivi di una classe operaia sempre più importante nella logica di una costante crescita produttiva.
E’ da questa insoddisfazione, dalla paura di una deriva militare di stampo golpista, da un’economia che improvvisamente rallenta, anche a causa della crisi petrolifera che colpisce senza distinzioni tutta l’Europa, che il germe del terrorismo prende forma e si insinua nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche. Lo spostamento dell’asse politico a sinistra comporta, tempestivamente, una reazione degli ambienti neofascisti ancora legati al recente passato. E’ l’inizio della strategia della tensione.
In questi anni l’Italia è travolta da fatti sanguinosi terribili, molto dei quali impuniti ancora oggi, firmati da sigle legate all’eversione sia “rossa” che “nera”. Piazza Fontana, l’omicidio Calabresi, Piazza della Loggia, sino al culmine del rapimento e assassinio dell’On. Aldo Moro.
In Italia accade anche questo. Che un Presidente del Consiglio pronto a ricevere la fiducia del Parlamento, venga rapito e ucciso 55 giorni dopo.
Giorgio Bocca di quegli anni scrisse: ”In quegli anni anni nessuno sa bene se stia nascendo un mondo nuovo o se si affondi nell’antica barbarie, ma tutti sanno che è il tempo della morte e sono in molti ad accontentarsi di questa risposta: ci fu un tempo in cui arrivarono, i giorni del labirinto e poi quei giorni si dileguarono, quel buio scomparve. Niente altro”
Non sono d’accordo. Credo che l’omicidio della memoria sia l’atto “criminale” più cinico e subdolo da proporre alle nuove generazioni che di quegli eventi conoscono, nella migliore delle ipotesi, solo delle immagini in bianco e nero.
Non esiste analisi ideologica che regga di fronte all’orrore fanatico di quegli anni se non si riconosce, senza fraintendimento, l’offesa e i danni arrecati ai parenti delle vittime e alla parte sana e democratica della nazione.
Complici di questa infamia furono coloro i quali che, delle azioni del brigatismo rosso e di tutta quell’area extraparlamentare di sinistra, parlarono di terrorismo di stampo fascista. Altri, più indulgenti, li definirono “compagni che sbagliavano”.
Dovevano portare in “paradiso la classe operaia” (per la gioia di Elio Petri) ed invece hanno prodotto il nulla. Combattevano, nelle farneticanti rivendicazioni, il SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali) e l’odioso capitalismo. Invece, a morire, come giustamente più volte ha criticamente sottolineato Giampaolo Pansa, furono guardie, agenti, professionisti, giornalisti, sindacalisti e operai. In questo vortice di sangue son finiti anche loro. Più proletari dei loro assassini.
I giovani d’oggi non dimentichino mai cosa Leonardo Sciascia scrisse di questi signori: “Le Brigate Rosse avranno studiato ogni possibile manuale di guerriglia, ma nella loro organizzazione e nelle loro azioni c’è qualcosa che appartiene al manuale non scritto della mafia”.

Nessun commento: