mercoledì 11 giugno 2008

La primavera di Jan

Praga è davvero una città magica e meravigliosa. Te ne accorgi passeggiando senza fissare una meta, perché ogni angolo ha qualcosa da raccontare . La città vecchia, la città piccola, il ponte Carlo, la Moldava. Storia e arte trasudano da ogni palazzo, da ogni via.
Vedi Praga e pensi a Mozart, che qui finì di comporre il Don Giovanni , oppure pensi a Kafka e alla forte esigenza esistenziale delle sue opere. Ti sposti a Josefov, il quartiere ebraico, dove nel vecchio cimitero trova posto la lapide di Rabbi Low creatore della leggenda del Golem, ancora oggi punto di riferimento per giovani generazioni di ebrei ortodossi.
Poi, improvvisamente, puoi restare colpito da una lapide. Piccola, confusa fra piccoli cespugli, che solo in parte ne coprono la vista ai passanti di Piazza Venceslao. La lapide, voluta dopo la caduta del Muro di Berlino dal Presidente Vaclav Havel, è quella di Jan Palach un giovane studente cecoslovacco divenuto martire e simbolo della resistenza anti sovietica dopo la primavera di Praga. Quella stele racconta la sua storia.
Ho sempre avuto poca simpatia per testi agiografici che sfociano magari nella piaggeria di parte. Per questo motivo, desidero che questo post, divenga strumento di riflessione su cosa davvero sia la libertà. Intesa come manifestazione di un sentimento alto, profondo, unico.
Tale, solo quando si è disposti a rinunciare a tutto. Anche alla propria vita. Quelle che riporto, sono le ultime parole trovate nel suo diario.

“Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (vuol dire “notiziario” ed è il giornale delle forze di occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia si infiammerà.”

Jan Palach morì dopo essersi dato fuoco il 19 gennaio 1969.

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