venerdì 11 settembre 2009

Legge sul Testamento Biologico: che sia inno alla vita

Dopo il passaggio in Senato, il testo sul “Fine Vita” approda in questi giorni alla Camera. Il forte contrasto che si è registrato nel Paese dopo la triste vicenda del caso Englaro, ha obbligato la politica a considerare come prioritario un tema etico.
E’ parere largamente condiviso agevolare l’azione del Parlamento nell’affrontare un tema tanto spinoso che è riuscito, nelle convulse fasi finali della vita della povera Eluana, a dividere l’opinione pubblica come solo divorzio e aborto erano riusciti a fare.
Quel vuoto normativo è stato, però, occupato da alcuni giudici che hanno privilegiato la richiesta di papà Englaro senza considerare, di fatto, l’articolo 2 della nostra Costituzione, ove si desume, invece, senza fraintendimento alcuno, la tutela del diritto alla vita.
Non dobbiamo, a mio avviso, essere manichei nel giudizio, come taluni illuminati progressisti, che hanno intravisto un atteggiamento umano (da parte dei giudici) ove, invece, vi è stata una semplice supplenza alle reiterate inadempienze dei precedenti legislatori.
L’incertezza e il dubbio, che in casi come questo, dovrebbero imporre un principio di prudenza, si erano in realtà trasformati in giustificazioni dell’ignavia. Non dimentichiamo che Beppino Englaro chiese un pronunciamento all’Alta Corte (ovvero seguì un percorso istituzionale, anziché affidarsi a procedure private più “spicce”) proprio per supplire all’esistente vuoto legislativo, con ciò, di fatto, costringendo la magistratura ad esercitare una funzione rappresentativa che non le appartiene.
Inoltre, una posizione critica rispetto alle scelte dei giudici non implica necessariamente un appiattimento verso le posizioni della Chiesa, come ventilato dal Presidente della Camera in una sua controversa e recente dichiarazione, ed è vieppiù svilente ridurre il dibattito ad una disputa fra “cattolici” e “laici”. Come è possibile che una delle polemiche più violente maturate una volta approvato il testo Calabrò al Senato, sia stata quella relativa al blocco dell’idratazione e dell’alimentazione di una persona che non può farlo autonomamente? Come è possibile che una norma di garanzia per una persona ammalata possa essere considerata alla stregua di un campo di battaglia che vede protagoniste forze contrapposte e distinte? Chi può essere convinto che un paziente in stato vegetativo voglia scegliere di morire di sete e considerare questo passaggio come una dolce morte?
E’ onesto ignorare l’articolo 25 della Convenzione Onu sui disabili laddove sancisce il divieto di sospensione di idratazione e alimentazione ai disabili e ai malati?
Come ci si dovrebbe comportare con quei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile o con quegli anziani colpiti da forti demenze senili? Può la loro impossibilità all’autosufficienza giustificare la negazione delle nostre cure?
Se è davvero desiderio di tutti, desiderio trasversale, giungere ad una soluzione condivisa del problema, è bene tenere in giusta considerazione questi parametri di valutazione, senza i quali, forte è il rischio di una deriva sociale che non crede alla sacralità della vita quale valore irrinunciabile per ogni uomo.

3 commenti:

meoceo ha detto...

puoi spiegare cosa significa la sacralità della vita? Perché bisogna evocare un concetto trascendente per dire che la vita è di centrale importanza?

Non c'è nulla di sacro nella vita, nulla di trascendente, è assolutamente immanente. Almeno nei testi giuridici dovrebbe esserlo e anche nei discorsi politici che è bene che si depurino di concetti e di immagini evocative.

gamaliele il fariseo ha detto...

Caro Claudio, ti rispondo con le parole di Andreoli, che, indubbiamente meglio del sottoscritto, per chiarezza e sintesi, sanno rispondere al tuo quesito:
«Le visioni dell’uomo possono variare moltissimo ma non può mai evaporare un principio basilare: il rispetto assoluto del suo essere nel mondo, della sua posizione unica e peculiare, per la quale non può essere confuso con nessun altro essere vivente. Se la vita umana perde la sua intangibilità, si apre la strada a malvagità inaccettabili, che la storia nel suo svolgersi ci ha più volte mostrato: non c’è infatti alcun bisogno di andarle a ricercare nel mondo fantastico. Sono sotto gli occhi di tutti»

Schmetterling ha detto...

Se molte considerazioni e quesiti che poni nel tuo post suscitano in me una assai titubante e prudente riflessione, vi è un punto su cui dissento in modo chiaro.
Non credo che discutere e legiferare sul c.d. “testamento biologico” significhi violare l’articolo 25 della Convenzione Onu sui disabili, oppure trattare della liceità di una procurata morte, o negata cura, di anziani colpiti da forti demenze senili bambini con gravi malattie cerebrali.
Il riferimento, a mio parere, è a una concreta attuazione dei principi, di cui gli articoli 13 e soprattutto 32 comma II della Costituzione contengono già pieno riconoscimento per il nostro ordinamento.
Si tratta di discutere politicamente (nel significato aristotelico del termine), laicamente, ma anche eticamente, del diritto di ciascuno di rifiutare o sospendere trattamenti sanitari salva-vita sulla propria persona.
Si tratta, con maggior delicatezza, di discutere di come questo diritto possa essere conservato pienamente se il paziente, che lo ha espresso in via anticipata, non sia più in grado di esercitarlo per un sopravvenuto stato di incapacità di intendere e di volere. Bisogna regolamentare, senza speculazioni per nessuno, il modo di poter lasciare traccia delle proprie volontà. Ritengo infatti che stiamo trattando di un diritto personalissimo, difficile darne procura ad altri.
Si tratta, infine, di discutere se sia opportuno distinguere fra le ipotesi in cui il rifiuto/rinuncia al trattamento non comporti di per sè la morte del paziente e le ipotesi in cui la rinuncia appaia, in base ad un rapporto di causa-effetto, elemento determinante rispetto alla morte del paziente o ad una forte accelerazione del processo letale. A mio parere si dovrebbe ricomprendere tra i trattamenti sanitari rifiutabili anche la semplice idratazione-alimentazione forzata, se accompagnata da accanimento clinico.
Auspico che questo intervento politico e legislativo serva ad evitare altri ‘casi Eluana’.