giovedì 15 gennaio 2009

A sostegno delle nostre radici

Le recenti immagini di Piazza del Duomo e della Stazione Centrale di Milano, invase da musulmani in preghiera, hanno riportato al centro dell’attenzione pubblica il problema della fragilità della nostra cultura nei confronti di gesti inequivocabilmente provocatori e pericolosi, praticati da immigrati di origine arabo-musulmana.
Violare la sacralità di una piazza importante come quella milanese, mette in risalto la volontà da parte del mondo islamico di dimostrare(ci) una identità superiore. Un’adunata (sediziosa), con duplice valenza: ostentazione di diversità, e prova di forza ai nostri danni. Parlare di arricchimento culturale, di fronte ad un gesto oltraggioso e profanatorio, come fatto da alcuni commentatori, è drammaticamente preoccupante.
Siamo silenti. Troppo silenti. Da tempo, da troppo tempo. E’ venuto il momento di rifiutare la sudditanza di maniera che abbiamo dimostrato in questi anni e prendere atto che la nostra società è fondata su radici giudaico-cristiane, le uniche con le quali fare veramente i conti.

L’arrivo in massa di migliaia di immigrati deve aiutarci a riflettere, e capire, senza nessuna esitazione, che non ci sarà spazio per la creazione di nuovi ghetti, come già accaduto in altre capitali europee, nonostante la Chiesa milanese (solo quella per fortuna) si sia espressa favorevolmente alla nascita di nuove moschee quale preludio di una integrazione che, invece, non ha sbocchi realistici.

Esiste un pericolo di islamizzazione dell’Europa, e quindi anche del nostro Paese. Per questo motivo non possiamo transigere dal difendere con forza i nostri principi e tradizioni. Come soprassedere su temi quali lo sfruttamento della donna, la poligamia, l’insegnamento attraverso l’istituzione di scuole islamiche, le punizioni corporali, i diritti civili e il considerare ebrei e cristiani come cittadini di serie b? Di quale integrazione vogliamo discutere?

E’ difficile non concordare pienamente con le tesi espresse dal prof. Huntington (recentemente scomparso) secondo cui, alla dissoluzione del mondo sovietico, i conflitti non sarebbero stati più fra nazioni, ma nati dalle differenze culturali e religiose fra le grandi culture.

La vera crisi da affrontare non è quella economica, ma quella “relativistica” del politicamente corretto che ha prodotto, in occidente, una grave crisi morale. Credere che ogni cultura sia uguale ad un'altra, come sostenuto dal “parterre de roi” di taluni pensatori nostrani, pronti a favorire la tesi di una presunta decadenza del pensiero religioso a vantaggio di un approdo sempre più deciso, verso un nichilismo esasperato, è falsità che merita una vibrata reazione.

Nelle nostre scuole non si contano più, ad esempio, le crociate contro i crocefissi, come se l’esibizione dell’identità religiosa, della nostra identità religiosa, debba considerarsi alla stregua di un insulto nei confronti di chi professa altre dottrine. In altri casi, è giusto ricordarlo, sono stati sollevati polveroni per delle semplici vignette satiriche. Come è possibile che questi “scandali” non abbiano avuto un’eco così vasta quando sono stati offesi il cristianesimo, il giudaismo o i suoi simboli? Non esiste reciprocità. Questo è quello che si chiede a tutti gli stati arabi, e agli immigrati che accettiamo ogni giorno nel nostro Paese. Avere la possibilità di professare senza vincolo alcuno il nostro credo anche da loro. La convivenza esige un rispetto condiviso. Esattamente il contrario di quello che avviene ai cristiani in Sudan, in Egitto, in Iraq e nella maggior parte degli stati islamici. Che l’islam isoli e condanni definitivamente i terroristi e i fondamentalisti, quelli – perché sia chiaro – che sfruttano l’ignoranza e la povertà come grimaldello per scatenare violenza e orrore come a New York, Madrid e Londra. Non possiamo e non dobbiamo più arretrare.

A Marcello Pera, mi accomuna quanto da lui sostenuto in una recente intervista: “è un dovere difendere l’Occidente, perché le nostre libertà e democrazia non sono questioni locali, ma riguardano l’essenza della natura umana. Dobbiamo accettare la sfida e fare la nostra parte”.

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